La necessità di sottoporre la luce a controllo scientifico: è questo quanto sottolineato nei lavori di John Ott. “I responsabili di molti laboratori di ricerca continuano a non voler riconoscere che la luce esercita degli effetti biologici su animali da laboratorio o sulle persone, criticano e mettono in ridicolo quei pochi scienziati che ne riconoscono l’importanza”.
Ma non si tratta solo di situazioni da esperimento, ma di vita quotidiana. Avete presente quell’insofferenza che si prova quando si entra in una stanza con luce a neon? Spesso ce lo spieghiamo con l’idea che stiamo entrando in un posto sgradevole, come ad esempio uno studio medico o un ufficio….e invece quella “fame” di luce solare e, al contempo, quel benessere che si prova quando stiamo all’aria aperta e al sole? Idem, il più delle volte ci convinciamo che è perché siamo in “relax”, in vacanza e così via. Ma non siamo consapevoli del fatto che la luce artificiale, a neon o altro, e la luce naturale esercitano diversi effetti biologici sul nostro corpo, innescando diversi processi e reazioni che contribuiscono a determinare il nostro stato, non solo di umore ma anche di energia fisica. Al di là del fatto che si stia lavorando o giocando.
Quella che a noi sembra luce apparentemente “tutta uguale”, che impieghiamo nei nostri ambienti per l’illuminazione routinaria, in realtà può avere notevoli differenze nello spettro di emissione presentato da ogni lampadina. Cosa ne è stato, ad esempio, delle tradizionali luci ad incandescenza? Il caro vecchio filo di tungsteno se ne è andato silenziosamente in pensione, con la scusa di essere stato superato in efficienza dai suoi concorrenti a “basso consumo”, dicono…peccato che le lampade a fluorescenza ci bombardino praticamente con picchi di pochissime lunghezza d’onda, che sono quelle che rendono maggiormente in termini di luminescenza. Vi presento nella foto il confronto tra gli spettri di emissione in termini di lunghezza d’onda tra una luce ad incandescenza e una a fluorescenza, fate le vostre conclusioni….
Ogni fonte di illuminazione, quindi, presenta un suo specifico insieme di lunghezze d’onda, che ha un impatto diverso sul nostro organismo. E non solo sul nostro, ma anche su quello delle piante e degli animali.
Non vi racconto qui come cambiando il tipo di illuminazione gli allevatori di cincillà riescano ad ottenere diverse quantità di maschi e femmine…ma vediamo qualche flash che ci riguarda da più vicino.
Una cosa che va chiarita è che il nostro occhio è uno strumento che va ben oltre la sua mera capacità visiva. Al nostro occhio la luce naturale non serve solo per vedere. L’occhio infatti è un canale attraverso il quale la luce esercita un effetto stimolatorio che è indipendente rispetto al processo visivo. In altre parole, la luce attraverso il nostro occhio riveste funzioni biologiche chiave, oltre alla visione. Già nel 1948 Alex Carrell designò il percorso naturale che conduce il fotostimolo alla ghiandola pituitaria (ipofisi) e pineale (epifisi) come la “porzione energetica” del cammino ottico. La visione procede invece indipendentemente attraverso la porzione ottica del percorso ottico.
La salute del nostro organismo dipende in gran parte dai fattori ambientali collegati alla luce, cioè dalla penetrazione della luce naturale nei nostri occhi. Quindi, portatori incalliti di occhiali da sole anche d’inverno, pensateci bene…portatori perenni di occhiali da vista e lenti a contatto, idem…trovate momenti per farne a meno quando siete all’aperto, in condizioni di sicurezza, naturalmente. E attenzione anche alle creme, fondotinta e cosmetici vari che ormai contengono tutti schermi di protezione totali…sia mai che a Natale in Italia ci ustionassimo mentre fuori piove…
Le lunghezze d’onda assenti in vari tipi di luce artificiale o che vengono filtrate dallo spettro della luce naturale per mezzo di vetri, tende, occhiali da sole (in particolare le lenti a contatto colorate), dallo smog e perfino dalle lozioni solari, causano condizioni di cattiva illuminazione simili alla denutrizione che si verifica quando non si segue una dieta alimentare appropriata. Quegli elementi chimici e minerali presenti nelle cellule del nostro corpo che normalmente verrebbero metabolizzati dalle lunghezze d’onda mancanti, rimangono in una condizione simile a quella che si ha in presenza del buio, anche se sono presenti altre lunghezze d’onda. Il risultato finale è un processo metabolico incompleto. Esattamente come una pianta dalla quale si pretendesse di compiere la sua fotosintesi in assenza di luce naturale.
Un esempio che ci tocca più da vicino rispetto a quello dei cincillà? Pensate alla fototerapia che viene impiegata per il trattamento dell’ittero neonatale: la luce blu infatti aumenta il normale metabolismo biliare.
Sarà un caso che tutte le applicazioni di fototerapia accettabili usano le lunghezze d’onda blu o ultraviolette, che sono proprio quelle che mancano nelle fonti di luce artificiali sotto le quali si svolge la nostra vita attuale?
E il prof. Ott continua “azzardando” una reazione diretta anche tra virus ed energia elettromagnetica, luce compresa…fantascienza qualche decina di anni fa, realtà scientifica oggi.
E non si tratta solo di cincillà e di neonati, ma anche di bambini, ragazzi e adulti: John Ott riporta di una serie di esperimenti eseguiti su classi di alunni particolarmente “iperattivi” che, dopo l’eliminazione delle lampade fluorescenti o la loro sostituzione con quelle ad incandescenza, osservarono significativi cambiamenti nelle condotte dei ragazzi. Più tranquilli, più sereni, da sembrare quasi assurdo. E non solo nei bambini, ma anche negli altri insegnanti che trovavano l’aula privata delle luci fluorescenti molto più “calda” e accogliente. Guardate questo breve video per una sintesi di quanto raccontato fin’ora sugli studi di John Ott.
Insomma, l’esistenza di una relazione tra luce artificiale e condotte iperattive è una questione reale, che fonda le radici sul cosiddetto sistema oculoendocrino, cioè su quei processi che solo la luce naturale che passa attraverso l’occhio è in grado di attivare, regolare e “ritmare”, e che coinvolgono strutture profonde come ipotalamo, ipofisi ed epifisi, tutte provviste di fotorecettori di tipo non visivo (come descritto in questa review). Ma non solo: la luce “non visiva” regolerebbe anche circuiti neuronali di tipo motorio, come ci dimostra questo recente lavoro.
Insomma, esiste una percezione della luce che passa attraverso l’occhio, ma non attraverso la vista. Non mi risulta che il sistema oculoendocrino sia descritto nei testi di medicina, pur essendo note le singole connessioni esistenti tra occhio e strutture endocrine intracerebrali. Ma ricordiamoci sempre che l’epifisi o ghiandola pineale rimane sempre questo grande sconosciuto, che qualsiasi imberbe studente di medicina si chiede svogliatamente che senso abbia studiare quella striminzita pagina su un organo “ormai involuto e calcificato”.
Eppure, curiosamente sembra che la quantità di melatonina presente nel nostro intestino sia 400 volte superiore a quella presente nella ghiandola pineale stessa…