“Di pixel o di carta, il contenuto quello è”. Siamo sicuri?

lettura schermo pixel cartaE no, non sono mai riuscita ad accettare che fosse solo per una questione di romanticismo. Che non riuscivo a preferire un ebook ad un libro cartaceo solo perché restavo poeticamente incatenata al profumo della carta, al rumore della pagine che girano e alla sensazione tattile di quello spessore che con il suo variare segna il cammino tra l’inizio e la fine di un viaggio.

E no, non ho mai pensato che la spiegazione fosse solo in una differenza di esperienza di fruizione. Non mi sono mai accontentata di quelle spiegazioni basate sul “in fondo il contenuto quello è e non cambia, che sia in digitale o in cartaceo”. E ti fanno pure sentire un po’ troglodita, perché non riesci ad apprezzare la comodità di viaggiare con 50 volumi nello spazio di un palmabile rispetto al peso (ben noto, ahimè) di portare “solo” una decina di libri sulle spalle per quei 2-3 giorni fuori casa nei quali non saprai cosa potresti aver voglia di leggere…

Mi spiego meglio: la nostra vista si basa su un sistema fatto di fotoni, quindi di luce, e con questo stesso meccanismo funzionano anche i nostri processi neuronali, attivi tanto nel cervello quanto in altri distretti corporei, sempre interconnessi tra loro. Quando la luce e i fotoni raggiungono l’occhio, trovano aperta la via principale d’ingresso per le parti più “intime” del nostro cervello (come già Leonardo sapeva). Se lo schermo di un tablet emette una luce, e quindi fotoni, perché dovrei mai credere che questi siano “inerti” rispetto ai processi cerebrali di lettura, e soprattutto di comprensione, che si basano pure loro su fotoni?

Dato che la mia non era solo una speculazione, ma una precisa sensazione che avvertivo ogni volta che leggevo contenuti da uno schermo, ho avuto la balzana idea di fare una ricerchina, ed ecco qui…

Per partire dal livello più superficiale, alcuni studi hanno evidenziato che il libro digitale impedisce di costruire una “mappa” del percorso che fa la nostra mente mentre leggiamo il testo, e che è la stessa che ci fa orientare all’interno del libro. Spesso quando leggiamo ricordiamo che quel certo passaggio o quella scena erano descritti in quella precisa posizione, in quell’angolo di quella pagina verso l’inizio. Nel libro digitale si perde questa percezione di orientamento, ma tutto si appiattisce in una serie di istantanee che è come se perdessero il collegamento tra loro.

La sensazione implicita del punto in cui ci troviamo in un libro si è rivelata più importante di quanto pensavamo”, dice Abigail Selen, una delle autrici di The Myth of the paperless office. “Inizia a mancarti solo quando provi un ebook”.

Non sono pochi gli studi che dimostrano che leggere un testo su schermo ne limita la comprensione. Una ricerca condotta su 72 studenti norvegesi delle scuole primarie (di 10 anni quindi, non di 80…) ha confermato la significatività di questo dato. Sembrerebbe infatti che questo accada perché la lettura in digitale richiede un surplus fisico e cognitivo che diminuirebbe le risorse disponibili alla comprensione.

Tra i fattori che si ipotizza possano essere chiamati in causa in questo “sovraccarico” prodotto dal digitale rientra lo scrolling, che sembra interferire negativamente con la comprensione del contenuto, insieme alle difficoltà dovute all’impossibilità di accedere al testo nella sua interezza. Queste caratteristiche della lettura digitale causano maggiore stanchezza e stress, compromettendo e affaticando la nostra memoria di lavoro e la capacità di attenzione (per approfondire leggi questo articolo e quest’altro).

Maggiore è l’attenzione dedicata a spostarsi nel testo, insomma, minore sarà quella disponibile alla sua comprensione.

Altri ricercatori hanno invece osservato che gli schermi in uso su PC, tablet e smartphone non si limitano a riflettere la luce dell’ambiente, ma emettono essi stessi luce, interferendo con i processi cognitivi e compromettendo la memoria di lungo termine. Questo si aggiunge all’affaticamento visivo prodotto dai dispositivi digitali e che è legato al tasso di refresh, ai livelli di contrasto e alla retroilluminazione.

In sostanza, per gli autori gli effetti deterioranti sul processo visivo sembrano a loro volta avere implicazioni negative sui processi superiori come la comprensione e l’apprendimento (per più dettagli, clicca qui e qui).

Gli studenti che utilizzano strumenti cartacei sembrano inoltre imparare in modo più completo e veloce, come se non dovessero cercare le informazioni acquisite nella propria testa, ma semplicemente le “sapessero” in maniera naturale e spontanea.

Si potrebbe obiettare che si tratti semplicemente di due processi di comprensione diversi e che man mano che le nostre abitudini cambieranno, diventerà naturale e automatica l’acquisizione di dati anche tramite schermi digitali.

Di certo ci abitueremo, ma abituarsi a qualcosa non è sempre un bene.

E qui entra in gioco l’altro elemento del puzzle: lo schermo è ormai implicitamente associato ad una lettura rapida e superficiale, come quella dei social, delle chat (Facebook, Whatsapp et al) o delle email. I ricercatori sostengono che la percezione comune della presentazione su schermo come fonte di informazioni “superficiali” possa ridurre la mobilitazione di risorse cognitive richieste efficaci per entrare con serietà nel compito di comprensione.

Insomma, tutte le ricerche oggi disponibili concordano su una cosa:

la conoscenza è assimilata meglio e viene più facilmente richiamata quando viene presentata in formato cartaceo.

E questo messaggio è di interesse trasversale a tante figure: non solo genitori ed educatori, ma anche professionisti nel campo della salute, del marketing e della comunicazione, operativi nei diversi settori.

…Tolti i momenti “dovuti” (ai quali pochi ormai possono sottrarsi), datemi please una buona ragione sul perchè per il relax e lo studio personale non dovrei continuare a preferire il dolce “peso” della carta…

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