Emozioni tra psiche e soma: la “distorsione”.
Ed eccoci con la seconda parte (per la prima puntata clicca qui!) della relazione tenuta lo scorso 29 Giugno nell’ambito della Conferenza Internazionale sull’Educazione Emozionale, organizzata dall’asilo nel bosco di Ostia (per gli interessati, qui trovate un breve video sintetico realizzato dalla Confederazione Internazionale degli Asili nel Bosco!).
Dove eravamo rimasti? Alla perfetta orchestrazione dei programmi biologici che gestiscono le nostre attivazioni emozionali…cosa può accadere per alterare il libero fluire di questi processi psicofisici?
Già a partire dalla vita intra-uterina, e comunque entro i primi 2-3 anni fondamentali di vita del bambino, possono verificarsi situazioni che, ripetute nel tempo, producono un vero e proprio condizionamento “distorsivo”, immagazzinato nelle cellule innanzitutto come memoria corporea, fisica. Ogni bambino avrà un imprinting che sarà la base sulla quale, nel corso del tempo, di sovrapporranno altri condizionamenti simili.
Parliamo di sovrastrutture che saranno immagazzinate a livello cerebrale e che detteranno poi legge sui processi cellulari. I dati scientifici oggi dimostrano ampiamente che ciò che accade nelle primissime fasi di vita è fondamentale nel plasmare la modalità di regolazione dello stress e delle emozioni (per esempio, questo recente lavoro mostra come la depressione materna in gravidanza programmi nel feto la reattività della risposta allo stress mediata dal cortisolo).
Avverrà quindi una riprogrammazione che si sovrascrive a quella prevista dalla natura.
La perdita di questo Eden psicobiologico coincide con quella che Lowen descrive come la perdita della grazia nel bambino, condizione che si verifica quando i bambini si conformano alle aspettative esterne invece di seguire l’esattezza dei loro impulsi interiori.
Dice ancora la Miller nel suo “rivoluzionario” libro che “un bisogno primario del bambino è quello di essere considerato e preso sul serio sin dall’inizio per quello che lui è, nel suo sentire, in ogni momento della sua crescita”.
Il bambino cioè può vivere le sue emozioni, sensazioni e percezioni se c’è una persona che con questi sentimenti lo accetta, lo comprende, lo accoglie e lo legittima. Se manca questa condizione (per esempio si ironizza, lo si mette in ridicolo, si minimizza, si mortifica), se il bambino per vivere un sentimento deve rischiare di perdere l’amore della madre (identificata con la sopravvivenza materiale prima, simbolica poi), allora non può permettersi di viverlo, ma deve rimuoverlo.
Questi vissuti percettivo-emotivi rimarranno comunque custoditi nel suo corpo, memorizzati come informazioni, spesso al di fuori della sua coscienza. Il bambino non sa cosa nasconde.
È così che si genera l’adattamento per la “sopravvivenza”.
Eppure il corpo non conosce falsità. Il corpo si attiene ai fatti. Le funzioni corporee come il respiro, la digestione, la circolazione, reagiscono soltanto alle emozioni vissute, e non a come noi le abbiamo reinterpretate per paura del castigo, di disubbidire, di deludere l’adulto di riferimento.
Il prezzo che si paga per questa mistificazione è la cecità emotiva, in primis in relazione ai vissuti che hanno generato questa distorsione. C’è una storia emotiva che il corpo conosce, ma che la mente disconosce.
Ed ecco che le emozioni messe al bando si aprono una breccia e assalgono il corpo. Si paga l’autoinganno con la malattia.
Le emozioni non legittimate dentro di sé, in cerca di diritto di cittadinanza, hanno un costo biologico e arriva un momento in cui il corpo presenta il conto.
Come accade questo? Prossima puntata… 😉