“L’industria dello zucchero ha influenzato il dibattito scientifico sulle cause alimentari delle malattie cardiovascolari negli anni ’50 e ’60, un fatto del quale ancora oggi paghiamo gli effetti”.
Non siamo su Informare per Resistere, non siamo su pippoplutosanita.tie, ma questa frase è pubblicata sul JAMA Internal Medicine dello scorso mese, una delle testate editoriali più rilevanti in ambito scientifico, naturalmente indicizzata nel database PubMed. Ed è per questo che ci dedichiamo un post.
Siamo negli anni ’60 quando i ricercatori si trovano a dover far fronte allo sproporzionato incremento della mortalità per malattie cardiovascolari registratosi negli USA negli anni ’50. A quei tempi il dibattito era guidato da due personaggi principali: Yudkin, che aveva identificato negli zuccheri AGGIUNTI (aggiunti eh, no tutti gli zuccheri in assoluto!) l’agente primario delle patologie cardiovascolari (CV), l’altro era Keys, che invece colpevolizzava i grassi saturi e il colesterolo di origine alimentare di questa epidemia “di cuore”.
Aterosclerosi: zuccheri vs colesterolo?
In base a quanto pubblicato nell’articolo dei giorni nostri, oggetto di una Special Communication, l’industria dello zucchero in quegli anni avrebbe fermamente respinto ogni possibile relazione tra gli zuccheri aggiunti e il rischio CV. Solo recentemente sono stati analizzati i documenti interni della Sugar Research Foundation, relativi ad una serie di corrispondenze con i ricercatori accademici dell’epoca, insieme ai report che sintetizzavano il dibattito scientifico di quegli anni sulle cause alimentari delle malattie cardiovascolari.
Quali sono stati i risultati di questo lavoro pubblicato lo scorso mese, a circa 50 anni di distanza da quando i fatti sono accaduti?
Si riporta una parte dello speech tenuto nel 1954 dal presidente della Sugar Research Foundation:
“I ricercatori stanno evidenziando la connessione chimica tra una dieta ad alto contenuto di grassi e la formazione del colesterolo che ostruisce parzialmente le nostre arterie e capillari, limitando il flusso sanguigno e causando ipertensione e problemi cardiaci. Introducendo una dieta a basso contenuto di grassi, ci vogliono 5 giorni per far scendere il colesterolo a livelli normali. Se l’industria dei carboidrati potesse appropriarsi di questo 20% di calorie nella dieta dei cittadini USA, e se lo zucchero mantenesse la sua attuale quota di mercato fra i carboidrati, questo cambiamento significherebbe un aumento di oltre un terzo del consumo di zuccheri pro capite, con un importante miglioramento della salute generale”.
Da quel momento l’industria avrebbe speso bei soldini per educare le persone che gli zuccheri sono quelli che mantengono in vita ogni essere vivente e che è proprio grazie a loro che abbiamo l’energia per fare fronte ai nostri problemi quotidiani…
Un 20% di calorie giornaliere in cerca d’autore
Ricapitoliamo: negli standard nutrizionali, l’introito quotidiano del 20% di grassi è la quota corretta per un’alimentazione equilibrata. In quegli anni però la dieta degli americani era costituita da grassi almeno per il 40%. Se questo 40% viene riportato al fisiologico 20%, rimane uno spazio di mercato “libero” pari ad un 20% di calorie giornaliere, che saranno quindi in cerca di padrone…
Negli anni ’60 vengono condotte molte ricerche, ma tutto avveniva dietro le quinte, all’insaputa cioè della popolazione che ancora non era preda di quella Babele informativa che viviamo oggi sul web…emergevano dati chiari che evidenziano come lo zucchero non fosse affatto una fonte di carboidrati da preferire sugli altri, ma cominciava anzi ad apparire evidente come l’introito di zuccheri impattasse i livelli di colesterolo, anche nelle diete a basso contenuto di grassi. Non che i grassi fossero una manna dal cielo, ma gli zuccheri erano un fattore di rischio cardiovascolare almeno di pari livello!
Sempre documenti alla mano, il ricercatore Yudkin veniva osteggiato per una posizione scientifica piuttosto “impopolare”: la Sugar Research Foundation infatti finanziava la ricerca sulle patologie cardiovascolari, promuovendo l’informazione pubblica e appropriati programmi legislativi. Senz’altro le ricerche di Yudkin che evidenziavano il ruolo aterogenico dello zucchero presentavano dei punti deboli che andavano smascherati, e questo avrebbe permesso poi di eseguire altri studi “corretti”…
Progetto 226: la revisione sistematica…2 pesi, 2 misure
[Continuo a tradurre dall’articolo…] Ma le evidenze aumentavano sul fatto che i livelli di glucosio nel sangue, e non di colesterolo, fossero i migliori predittori di aterosclerosi (clicca qui e anche qui per i rimandi ai lavori dell’epoca).
Ed è per questo che nel 1965 la Sugar Research Foundation approva il progetto 226: una revisione della letteratura sul ruolo dei carboidrati e del colesterolo nel metabolismo, realizzata dai ricercatori autorevoli del momento che supportavano la causa, di certo non gratuitamente (leggete l’articolo originale per tutti i dettagli). La review fu pubblicata sul prestigioso New England Journal of Medicine nel 1967, senza dichiarare il finanziamento della Sugar Foundation, concludendo che senza dubbio l’unico intervento alimentare dotato di senso per prevenire le malattie cardiovascolari era ridurre l’apporto di colesterolo e di grassi saturi ).
Ma allora, cosa ne era stato degli studi che invece testimoniavano il contrario? Ovviamente tutti inseriti nella review, ma i dati erano “discutibili”, erano “male interpretati”, le evidenze epidemiologiche erano inficiate da “molteplici fattori confondenti”, alcuni studi erano di durata troppo breve, o le dosi di zucchero impiegate non erano “realistiche”. Insomma, i singoli studi erano stati smontati sulla base di tutti i possibili bias rilevabili, facendo perdere di vista che esisteva un’evidenza consistente ed omogena tra dati epidemiologici, sperimentali e di laboratorio.
Continuo a riportare sinteticamente le frasi dell’articolo del JAMA di Settembre 2016: pare che lo stesso criterio non fosse stato utilizzato per valutare gli studi della review che invece favorivano gli effetti positivi derivanti dalla sostituzione dei grassi con gli zuccheri. Consultando oggi i dati originari, la consistenza tra gli studi è stata sovrastimata, e un solo trial concludeva che la riduzione del colesterolo alimentare e la sostituzione dei grassi saturi con quelli poli-insaturi migliorasse i livelli di colesterolo. Il fatto che non fosse chiaro l’esatto meccanismo attraverso il quale il colesterolo alimentare aumentasse i livelli di colesterolo nel sangue era giudicato come “non importante”.
La review inoltre argomentava che solo i trial che usavano i livelli di colesterolo come marker di malattia cardiovascolare potevano essere considerati corretti, e questo portò ad escludere un intero corpo di evidenze che puntava invece il dito sul ruolo dello zucchero.
Industria-Governo-Salute: il triangolo no, non l’avevo considerato
Gli autori concludono oggi che “le commissioni legislative dovrebbero tenere meno in considerazione gli studi sponsorizzati dall’industria alimentare e valutare anche gli studi relativi al ruolo degli zuccheri aggiunti sui molteplici biomarker di malattia cardiovascolare e sullo sviluppo della stessa”.
Agli autori rimane ancora una perplessità:
Secondo voi, quanti professionisti nel 1967 avranno discusso in maniera critica la review pubblicata dal NEJM? E quanti di noi oggi di fronte ad una pubblicazione hanno le risorse adeguate per far sì che una storia simile non si ripeta?
Momento di approfondimento auto-referenziale: sullo stesso tema confronta questi due post presenti nel blog!