A quasi un mese dall’incontro svoltosi a Roma con il Prof. Berrino, colgo l’occasione per riportare il contenuto dell’intervento con il quale ho avuto il piacere di introdurre la sua conferenza di presentazione del libro Il cibo dell’Uomo. La via della salute tra conoscenza scientifica e antiche saggezze.
Prendendo spunto dal titolo della prima sezione “L’Ordine dell’Universo”, vorrei “riappacificare” gli animi relativi al tema dell’alimentazione, che sempre più si sta trasformando in un terreno di scontro tra “altro”, che dietro il cibo si maschera ma che con il cibo non ha niente a che fare: ideologia, politica, religione o proiezione di pregiudizi personali. Che si scelga di seguire la strada del paleolitico, che si preferisca aderire ai principi della macrobiotica, che la propria corrispondenza si trovi nel frutto-vegeto-veganesimo o piuttosto nella dietetica cinese taoista, per favore non tradiamo il valore ultimo del cibo come “nutrimento” e possibilità evolutiva.
Grazie a tutti per la partecipazione e per i complimenti, buona lettura!
“Sarebbe bello che stasera uscissimo da qui con una percezione diversa del nostro rapporto col cibo, per non cadere della trappola semplicistica che aderendo meccanicamente a delle prescrizioni alimentari si possa guadagnare, comprare la “salute eterna”.
Nella nostra pancia abbiamo una quantità di neuroni che è superiore a quelli contenuti nel cranio. Agli inizi degli anni ’90, i ricercatori hanno impunemente ribattezzato questa matassa di neuroni contenuti nello spessore dei visceri e delle anse intestinali “secondo cervello”. Impunemente perché questo cervello è arrivato secondo solo in ordine cronologico di scoperta. Pensate che se immaginassimo di dispiegare/srotolare l’intera matassa dei visceri intestinali, otterremmo una superficie pari a quella di un campo da calcio, tutto fitto e zampillante di neuroni. Questa superficie di interfaccia con il mondo esterno è la più ampia superficie di contatto, scambio e interazione che possediamo nel nostro organismo. Se questo cervello fosse “secondo”, poi, dovremmo immaginarci che riceva ordini dal “capo” del piano superiore, e che quindi le connessioni siano prevalentemente dirette dall’alto verso il basso. E invece è esattamente il contrario: è l’autostrada del nervo vago ad informare dal basso il collega del piano superiore.
Come se non bastasse, nello sviluppo dell’embrione, i visceri addominali sono i primi che si formano. La percezione fetale è tutta basata sul primo intestino. Solo successivamente si sviluppano il midollo, il tronco encefalico, il sistema limbico e la corteccia. La pancia, per come la vita ci pone, è la prima struttura con la quale percepiamo, sentiamo e conosciamo il mondo.
Da adulti continua ad essere così, anche se non ce ne rendiamo conto. D’altra parte non ci stiamo inventando niente: il sapere delle più antiche tradizioni, per esempio l’alchimia taoista, identifica nella “pancia”, distribuite nelle funzioni e secrezioni digestive, la nostra essenza, ciò che rende ognuno di noi unico e specifico, come costituzione e temperamento.
L’insieme delle ricerche degli ultimi 10-15 anni comincia a sostenere l’idea che questo cervello viscerale sia in grado di decodificare/interpretare l’ambiente in base alle esigenze specifiche del singolo individuo. In altre parole, questo cervello sembra capace di una conoscenza diretta e immediata, quella famosa conoscenza di primo impatto, di tipo intuitivo (e che gli inglesi chiamano gut feeling) e che nel gergo popolazione viene chiamata da sempre “sensazione di pancia”. Che ci dice come le cose stanno per noi in quel momento. Anche se l’informazione razionale manca o addirittura contraddice questo sentire.
Tutto questo oggi si configura come scienza: l’ascolto delle sensazioni viscerali può guidare i processi di scelta. La pancia ci fa scegliere meglio per noi stessi.
Anche questo cervello, se maltrattato, sviluppa le sue nevrosi. L’area di ricerca sui disordini intestinali e i disturbi dell’umore/emotività è estremamente ricca, mentre rappresenta un campo di indagine più giovane e ancora poco battuto quello sul potenziale di conoscenza di questo cervello nelle condizioni ordinarie di salute.
Me lo immagino come una sorta di buon selvaggio che, privo delle raffinatezze del collega del piano di sopra, sa però molto bene cosa vuole e si fa capire con il codice binario dei colpi di clava: sì o no, accetto oppure espello. Metabolizzo (ognuno a modo suo, secondo il proprio “codice”) oppure rifiuto. E questo vale tanto cibo quanto per le esperienze.
In sostanza, la vita dei visceri ha a che fare con una capacità di intelligenza: rispettare questa intelligenza significa rispettare l’intelligenza insita nell’ordine della natura, nell’ordine dell’universo appunto. Ecco quindi che il rapporto con il cibo ha a che fare più profondamente con la capacità di contatto che abbiamo con noi stessi e con la modalità di relazione che abbiamo con il mondo nel quale siamo immersi.
Ecco perché a me piace parlare non tanto di nutrizione, ma di nutrimento, che è una parola che apre un altro universo di senso, che accoglie in sé anche il concetto di educare, allevare, coltivare. Non a caso, parliamo di “nutrimento dello spirito” e non di nutrizione…
Perchè il cibo può avere questa funzione di educarci/elevarci come essere intelligenti, e non solo come macchine alimentari”.
Per chi vuole approfondire
Rimandiamo ad un’altra puntata i riferimenti della letteratura scientifica e approfitto, invece, per segnalare questo testo scritto da un uomo di scienza che ha prodotto, in tempi non sospetti, delle pionieristiche intuizioni su questo tema:
Cucina Viva di Antonio Meneghetti, un approccio peraltro protagonista in questi mesi in diverse “sessioni” presso l’EXPO di Milano!