Si parla sempre più spesso di benessere degli occhi e di metodi naturali per risolvere problemi di vista. Dal metodo Bates ad oggi, negli ultimi anni è stato un proliferare di metodi e contro-metodi per aiutare in maniera gentile gli occhi a ripristinare la loro funzione.
Al di là del solito mare di contraddizioni in cui sguazziamo, due cose so per certo: che gli occhiali “tatuati” sul viso segnano la morte civile dei nostri occhi e che le problematiche di vista non sono un irreversibile ed inevitabile gioco a perdere, ma piuttosto un processo che riconosce anche componenti psico-emozionali troppo spesso sottovalutate o per nulla affrontate.
Per questo ci facciamo aiutare da un autore, noto ai più probabilmente per altro tipo di produzioni letterarie, ma che credo abbia scritto alcune tra le pagine più belle relative all’arte di vedere: Aldous Huxley.
“L’arte di vedere è simile alle altre fondamentali abilità psicofisiche, quali il parlare, il camminare e il servirsi delle mani. Queste abilità fondamentali si acquisiscono ordinariamente nella prima infanzia attraverso un processo di autoistruzione per la maggior parte inconscio. Occorrono, pare, diversi anni perché si formino abitudini adeguate nella vista. Una volta formata, però, l’abitudine di fare un uso corretto degli organi mentali e fisiologici della vista diventa automatica, esattamente come l’abitudine di servirsi della gola, della lingua e del palato pe parlare o delle gambe per camminare. La maggior parte dei colpiti da disturbi della vista deve riacquisire coscientemente quest’arte che era stata appresa inconsciamente nell’infanzia”.
E veniamo al primo passaggio: nessuna delle nostre funzioni fisiologiche è fissa e costante.
“Il funzionamento degli organi visivi (l’occhio, il sistema nervoso che trasmette lo stimolo e la mente che seleziona e percepisce) è non meno variabile di quello dell’organismo nel suo complesso o delle altre sue parti”
Esattamente come quando a volte digeriamo bene e a volte male; a volte ci sentiamo bene e a volte no…
La variabilità del sistema visivo è quindi un fatto naturale. Come la mettiamo con il posizionamento di una protesi fissa?
“Ogni lente è fatta per correggere uno specifico vizio di rifrazione. Ciò significa che l’occhio non può avere una visione chiara attraverso una lente se esso non presenta ESATTAMENTE il vizio di rifrazione che la lente serve a correggere.”
E la nostra naturale variabilità? Questa esiste anche nel difetto…abbiamo ogni momento esattamente lo stesso vizio?
“Qualsiasi tentativo da parte degli occhi muniti di occhiali di esercitare la loro naturale variabilità è subito bloccato perché conduce sempre a un peggioramento della visione. E questo è vero perfino nei casi in cui l’occhio varia in direzione della NORMALITA’, poiché l’occhio senza vizi di rifrazione non può vedere bene attraverso una lente destinata a correggere un difetto che esso non ha più.
Si vedrà così che gli occhiali costringono gli occhi in uno stato di rigida immobilità strutturale. Da questo punto di vista li si può paragonare a grucce, a stecche, busti o ingessature”.
Portereste un gesso ad un braccio o una gamba a vita??
“Molto spessi i difetti della vista hanno a che fare con una condizione spastica di iper-contrazione dei muscoli oculari, mentre altri, impediti dagli spasmi dei muscoli circostanti, “dimenticano” in breve come svolgere le loro funzioni. […] Questa inibizione dei movimenti oculari, dei quali non siamo generalmente consapevoli, è originata da un’eccessiva bramosia di vedere. Nell’impazienza di vedere, noi immobilizziamo inconsciamente gli occhi, col risultato che cominciamo a guardare in modo fisso quella parte del campo sensoriale che stiamo cercando di percepire. Ma uno sguardo fisso distrugge il proprio scopo, in quanto indebolisce automaticamente la propria capacità visiva che dipende da un’ininterrotta mobilità degli occhi. Inoltre, lo sguardo fiso è accompagnato sempre da una eccessiva e prolungata tensione”.
E infatti:
“Occorre imprimersi bene nella mente che nelle persone con vista difettosa c’è una costante correlazione tra l’atto di fissare lo sguardo e una assolutamente non necessaria e dannosissima insufficienza di respirazione”.
“Qualunque sia l’arte che si vuole apprendere, un buon maestro vi dirà una sola cosa: imparate a combinare la distensione con l’attività; imparate a fare quello che dovete senza sforzo; lavorate con impegno, ma mai in uno stato di tensione.
Il cattivo funzionamento e la tensione tendono a manifestarsi ogniqualvolta l’io cosciente interferisce con le abitudini corrette acquisite istintivamente, o nello sforzo di ottenere buoni risultati, o per un esagerato timore di possibili errori. Le tecniche dell’educazione visiva permettono di scoprire fino a che punto l’io cosciente possa ostacolare i processi visivi. E li ostacola esattamente come ostacola attività quali giocare a tennis o cantare, ossia attraverso una esagerata bramosia di conseguire il fine desiderato.
Quanto più c’è io, tanto meno c’è Natura, cioè il funzionamento proprio e corretto dell’organismo”.
Nell’atto del vedere, dunque, entra in gioco tutto il rapporto tra la mente e l’organo che le è più vicino, l’occhio appunto. Sia chiaro che nessuno qui vuole rinnegare l’utilizzo di lenti in maniera assoluta, ma piuttosto sensibilizzare la persona verso un’ulteriore chiave di lettura della propria problematica di vista, perché non venga vissuta in maniera passiva ed ineluttabile ma si riesca, invece, a riconnetterla con i propri atteggiamenti, fisici e mentali, sempre operativi che la alimentano e sostengono nel tempo.
Insomma, nessuna lente potrà sostituirsi alla responsabilità dell’io…