La fedeltà ai primi legami, quelli della famiglia in primis. Colpa e Innocenza, Bene e Male, alla luce del bisogno di appartenenza.
Una piccola disamina tratta dal libro di Bert Hellinger I due volti dell’amore. 😉
“Agendo in nome del nostro bisogno di appartenenza, la coscienza ci lega alle persone e ai gruppi necessari alla nostra sopravvivenza, indipendentemente da quali siano le condizioni poste per questa nostra appartenenza. Una quercia non sceglie il terreno in cui crescere; l’ambiente circostante la condiziona tuttavia a svilupparsi diversamente a seconda che si trovi in un campo aperto, nel folto di una foresta, in una valle riparata, oppure in alto, su una collina battuta dal vento.
Allo stesso modo, i bambini si adattano naturalmente ai gruppi in cui nascono, legandosi ad essi con una tenacia che ricorda l’imprinting. Per i piccoli il legame con la famiglia significa amore e benessere, a prescindere dall’effettiva capacità della famiglia di nutrirli e di prendersene cura, ed essi vivono i suoi valori e le sue abitudini come qualcosa di positivo, senza valutare ciò che credono o fanno i membri di essa.
Essendo al servizio del senso di appartenenza, la coscienza reagisce a tutto ciò che rafforza o minaccia i nostri legami. Ce la sentiamo “pulita” quando agiamo in modo tale da assicurare la continuità della nostra appartenenza, mentre ce la sentiamo “sporca” quando deviamo dalle norme del gruppo e dobbiamo temere che il nostro diritto di appartenervi sia messo in discussione.
La coscienza che preserva i nostri legami è al servizio di tali valori e li conserva, rendendo difficile per noi vedere, sapere e ricordare qualsiasi cosa la nostra coscienza escluda. I legami e il senso di appartenenza così necessari alla nostra sopravvivenza e al nostro benessere stabiliscono anche ciò che ci è consentito percepire, credere e conoscere. […]
Gli unici criteri seguiti dalla coscienza al servizio della formazione di legami sono i valori del gruppo al quale apparteniamo. Quando cambia il contesto sociale, la coscienza muta i propri colori come un camaleonte allo scopo di proteggerci nella nuova situazione in cui ci troviamo. Avremo dunque un certo tipo di coscienza con nostra madre e un altro con nostro padre; una coscienza per la famiglia e una per il posto di lavoro; una per quando andiamo in chiesa e un’altra per quando passiamo una serata fuori. In ciascuna di queste diverse situazioni, la coscienza si sforza di salvaguardare il nostro senso di appartenenza e di proteggerci dall’abbandono e dalla perdita. Ci tiene stretti al nostro gruppo come un cane tiene unite le pecore di un gregge, abbaiando e mordicchiandoci i calcagni finché non ci uniamo agli altri.
Ma ciò che ci appare del tutto lecito in una relazione potrebbe farci sentire molto in colpa in un’altra. In un gruppo di ladri i membri devono rubare, e lo fanno con la coscienza pulita. In un altro gruppo, rubare sarà proibito. In un caso e nell’altro, i sensi di colpa per aver violato le condizioni di appartenenza saranno gli stessi. […]
La coscienza che salvaguarda la nostra appartenenza ci porta a fare, a quanti sono diversi da noi, la cosa che più temiamo e che consideriamo la peggiore conseguenza della colpa: li escludiamo. Facciamo agli altri, del tutto consapevolmente, ciò che la nostra coscienza ci impedisce di fare ai membri del nostro stesso gruppo. […]
Perciò, l’innocenza e la colpa non coincidono con il bene e il male. Se le nostre azioni, per quanto distruttive e malvagie, servono gli interessi di gruppi necessari alla nostra sopravvivenza, agiremo con la coscienza tranquilla; per contro, pur compiendo azioni costruttive, ci sentiremo in colpa quando il nostro comportamento metterà a repentaglio la nostra appartenenza a questi stessi gruppi. […]
Così come un’apparenza di colpa o innocenza può trarre in inganno, la coscienza del gruppo un po’ alla volta plasma l’esperienza che il bambino ha del mondo, colora la sua percezione di ciò che è attraverso i membri della famiglia.
Una bambina esce in cortile e prova stupore per le cose che crescono. La mamma le dice: “Guarda, che bello!”. Ora la bambina deve stare attenta alle parole; smette di guardare e di ascoltare e il suo coinvolgimento diretto con ciò che esiste viene sostituito da giudizi di valore. La bambina non può più fidarsi della sua esperienza di fascinazione per ciò che è, e deve invece fare riferimento a un’autorità esterna, che stabilisce ciò che è bello e positivo.
La coscienza diventa allora la grande simulatrice, che attiva sentimenti di colpa e di innocenza in luogo della conoscenza del bene e del male. Il bene latore di riconciliazione deve andare oltre le ingannevoli apparenze che nascono dal fatto che apparteniamo a vari gruppi.
La coscienza parla; il mondo esiste.”