Ogni giorno incontro persone angosciate dalla malattia, reale o presunta, da sintomi che devono “scomparire il prima possibile” perché si possa “tornare a vivere.”
Il sintomo infatti diventa così ossessivo che, grande o piccolo che sia, la persona smette di fare la sua vita fino a che non lo risolve.
E non si vuole accettare che anche quel sintomo, proprio quella malattia, sia in fondo parte se non proprio della Vita, ma del proprio percorso individuale di comprensione della Vita stessa.
E che anzi quel fastidio, disagio, malessere o peso ci stia proprio indicando come sarebbe meglio vivere, soprattutto cosa smettere di fare, come abitudine in primis mentale, emozionale e quindi comportamentale.
Prima guarisco, poi cambio
Eppure no. La dichiarazione è quasi sempre la stessa: certo, ho capito, ma ora non ho tempo e queste cose le potrò affrontare solo quando risolverò la malattia e tornerò a stare bene. Cosa che la maggior parte delle volte si traduce in: se mi dice bene torno in salute e poi continuerò a fare esattamente come prima.
Ecco, credo di aver capito che a me questo non interessa: risolvere un sintomo e far tornare la persona alla sua vita “normale”.
Delle volte i sintomi si risolvono, delle volte si attenuano, delle volte ritornano, altre volte si spostano, altre ancora non si spostano minimamente e rimangono lì: perché ogni persona ha un suo proprio percorso e se è interessato a capire di più di questo cammino e di come si sta esprimendo in chiave biologica, come Medico sono contenta di essere a disposizione dell’altro. Se posso essere strumento per l’accrescimento della conoscenza e della consapevolezza, e quindi dell’evoluzione dell’altro, allora sto facendo un servizio. Diversamente, non lo so…
Non penso come Medico di poter guarire nessuno, quanto semmai di essere un canale che possa agevolare una migliore comprensione del proprio percorso esistenziale.
Quali sono le coordinate psicobiologiche
del nostro percorso di Vita?
In quest’ottica, trovo un senso nell’operare attraverso la mappatura delle coordinate psico-biologiche all’interno delle quali ogni individuo svolge il suo Percorso di Vita. Alcune coordinate sono contingenti, altre permanenti, alcune possono essere modificate, altre forse no.
Ogni metodica impiegata dall’operatore, quindi, può diventare uno strumento per coadiuvare l’individuo nel capire meglio come affrontare la propria vita. Qual è il codice psicobiologico, la chiave di lettura biochimica attraverso la quale una persona legge e metabolizza il mondo?
Mi viene in mente il senso della ”costituzione” in Medicina Cinese. La costituzione è il veicolo di cui siamo dotati per affrontare questo Viaggio. Una Panda non è peggio di una Ferrari, in quanto ogni mezzo va valutato in rapporto al percorso che devo intraprendere, e quindi alla meta finale da raggiungere. Su una strada sterrata e tortuosa di campagna, una Panda – magari 4X4 – è proprio il mezzo adatto! Se hai le dotazioni di una Ferrari, non ti andrai a mettere su una stradina dissestata, così come se hai una 500 non andrai a percorrere il circuito di Indianapolis.
Quello che conta è che tu faccia il percorso adeguato per le caratteristiche del veicolo che hai in dotazione.
E quel percorso è solo tuo, non è giusto né sbagliato, né migliore o peggiore di altri.
Di certo il nostro veicolo è condizionato dalle memorie sovrascritte tanto dalle generazioni precedenti (come l’epigenetica ormai ha dimostrato), quanto dalle primissime fasi di vita nell’utero materno e dai successivi accadimenti di vita.
Memorie cellulari:
condizionamento o Intelligenza?
Ogni volta che durante la visita queste memorie emergono come circuiti cellulari operativi, la reazione è sempre la stessa: E come si tolgono questo memorie? Oppure: Eh, ma come potrebbe essere diversamente con tutto quello che mi è successo e che ancora mi tocca subire?
Nessuno si chiede mai se vive quello che vive forse proprio perché è impostato a recepire in quel modo gli eventi di vita. Non è arrabbiato e frustrato per quello che succede, ma è arrabbiato e frustrato, e gli eventi di vita diventano “pretesto”, trigger, per manifestare quel sentire che richiede attenzione, comprensione, consapevolezza e trasformazione. E allora tutto quello che ci succede diventa solo pretesto per legittimare il proprio stato, spesso però per rimanerci dentro anziché per raccoglierlo ed evolverlo.
Immaginiamo un tessuto, come la pelle, che presenti un locus minoris resistentiae, cioè un punto di lassità, di debolezza. Di fronte ad un impatto qualsiasi con un agente esterno, di per sé neutro, l’ingresso avviene proprio da quel punto di lassità, perché “fisicamente” non potrebbe essere diversamente. Ed è attraverso questa zona di vulnerabilità che noi leggiamo l’evento esterno, non rendendoci conto che non è così per tutti e che non è un fatto INEVITABILE.
Per ognuno di noi, la forza d’impatto di quell’evento passa attraverso il proprio locus minoris resistentiae. L’agente esterno però non si sta intenzionalmente posizionando lì, ma siamo noi che non possiamo che “riceverlo” proprio attraverso quell’area, e attribuirgli quindi quel significato e attivare quella risposta emotiva memorizzata nei programmi cellulari. È in questo momento che l’agente/evento esterno può diventare noxa patogena. Mentre per altri potrebbe tranquillamente scivolare via nella più totale indifferenza.
Quindi, l’area di interfaccia vulnerabile è l’espressione di un circuito pre-impostato all’interno che è necessitato a funzionare. Compreso questo, è qui che entra in gioco il libero arbitrio, che ci permette di scegliere se funzionare come un circuito condizionato o come individui con un’Intelligenza.
Non eliminare, ma trasformare
La “ferita” che presentiamo all’esterno non deve essere eliminata, ma utilizzata per trasformare in chiave evolutiva quel circuito ereditato nel percorso di vita. Diventa cioè la spia per ricordarci che siamo Esseri capaci di esprimere un’Intelligenza Creatrice che ci porta oltre il condizionamento stimolo-risposta. Senza questo locus minoris resistentiae, come potremmo ricordarci da dove veniamo e dove dobbiamo ritornare? La specifica ferita di ognuno di noi indica il modo peculiare con cui ogni persona deve affrontare questo passaggio.
Se oggi ci rendiamo conto di aver ricevuto in dotazione già nella vita uterina degli schemi di lettura del mondo, diventa evidente che non è colpa di nessuno, tantomeno dei genitori, che in realtà diventano solo occasione, mezzo di trasmissione, e non causa, del bagaglio che ciascuno di noi è chiamato ad elaborare ed evolvere nella propria vita.
Se vogliamo essere rispettosi fino in fondo dell’Intelligenza della Vita, non chiediamo ad un operatore solo di cancellare o eliminare un problema, o faremmo un danno alla nostra Crescita.
«In modo generale, non desiderare la sparizione di nessuna delle proprie miserie, bensì la grazia che le trasfiguri.»
Simone Weil
La barca vuota
E per finire, un piccolo racconto che esemplifica il post 😉
Un monaco decise di meditare da solo, lontano dal suo monastero.
Portò la sua barca in mezzo al lago, la ormeggiò lì, chiuse gli occhi e iniziò a meditare. Dopo alcune ore di silenzio indisturbato, improvvisamente sentì il dosso di un’altra barca che si scontrava con la sua.Con gli occhi ancora chiusi, sentì la sua rabbia alzarsi e, quando aprì gli occhi, era pronto a urlare il barcaiolo che aveva disturbato così distrattamente la sua meditazione. Ma quando aprì gli occhi, fu sorpreso di scoprire che era stata una barca vuota a colpire la sua. Probabilmente si era liberato e galleggiava in mezzo al lago.
In quel momento, il monaco ebbe una grande realizzazione. Capì che la rabbia era dentro di lui; aveva semplicemente bisogno del colpo di un oggetto esterno per provocarlo. Da quel momento in poi, ogni volta che incontrava qualcuno che lo irritava o lo provocava in rabbia, ricordava a se stesso che l’altra persona era semplicemente una barca vuota, la rabbia era dentro di lui.
Chuang Tzu